Onorevoli Colleghi! - È un dato di fatto che il giudice di pace sia ormai un elemento imprenscindibile dell'ordinamento giuridico italiano, ma proprio in virtù di questo suo consolidamento è necessario definire con maggiore chiarezza i lineamenti giuridici della figura istituita dalla legge 21 novembre 1991, n. 374, in funzione delle caratteristiche che di fatto si sono sviluppate e affermate in questo frattempo; ciò in ossequio al principio secondo cui «ex facto oritur jus».
      D'altra parte, «nomina sunt consequentia rerum»: le definizioni giuridiche e le disposizioni normative devono necessariamente adeguarsi alle situazioni di fatto che, nel corso degli anni, si sono venute affermando e consolidando.
      Di conseguenza, si deve tenere presente che il giudice di pace opera nell'esercizio di una funzione giurisdizionale alquanto rilevante e che, per il migliore esercizio di tale funzione, egli deve godere di autonomia e di indipendenza, essendo impegnato in essa a tempo pieno, quale giudice di prossimità articolato sul territorio, vicino alle quotidiane esigenze del cittadino.
      Non si può negare che lo stato giuridico del giudice di pace non possa essere omologato totalmente a quello del magistrato di ruolo.
      Tuttavia, la figura del giudice di pace, anche per le caratteristiche precisate, esige uno stato giuridico che deve essere definito con riguardo all'impegno a tempo pieno richiesto dall'attività lavorativa svolta, nonché alla rappresentanza istituzionale che garantisca autonomia, indipendenza e durata della funzione.
      Anche in funzione di quanto rilevato, il rapporto di servizio del giudice di pace

 

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non può essere limitato nel tempo, ma deve protrarsi secondo criteri di ragionevolezza e in ossequio ai princìpi della buona amministrazione.
      Esso deve essere sottoposto a verifiche periodiche sulla quantità e sulla qualità del lavoro svolto, nonché sulla coerenza della condotta alla funzione esercitata.
      Pertanto - subordinatamente alla valutazione favorevole del competente organo di autogoverno - il rapporto di servizio dovrebbe protrarsi fino al compimento del settantaduesimo anno di età.
      Infatti, se al giudice di pace si chiede - in applicazione del precetto costituzionale di terzietà e di imparzialità del giudice - di abbandonare la professione forense o qualsiasi altra attività, non può ragionevolmente concepirsi che egli - una volta esercitata l'attività giurisdizionale in forma confacente per un periodo di otto anni (gli attuali 4+4: nomina e conferma) - sia quindi costretto a riavviare una nuova attività, non potendo continuare a svolgere le funzioni fino ad allora degnamente esercitate e avendo smesso da otto anni l'attività precedentemente svolta.
      Infine, oltre a essere irragionevole, è anche antieconomico il fatto che l'amministrazione pubblica, dopo aver impiegato notevoli risorse per assicurare la formazione iniziale e la formazione permanente di determinati giudici di pace, si privi di soggetti pienamente idonei alle funzioni esercitate, disperda capacità ed esperienze professionali acquisite e provveda - senza alcun fondato motivo - a formare ex novo altri giudici di pace, con un inutile dispendio di altre risorse.
      Pertanto, si ritiene che sia compito del legislatore intervenire in via di urgenza nel senso indicato. Infatti, un ordinamento giuridico democratico fondato sul lavoro, uno Stato sociale di diritto, non può pretendere di adempiere alla funzione giurisdizionale attraverso giudici di pace dei quali voglia perpetuare lo stato giuridico di soggetti precari; né lo stato giuridico del giudice di pace può ancora continuare a ignorare gran parte dei diritti costituzionalmente garantiti a tutti i lavoratori dagli articoli 35 e seguenti della Costituzione.
      Inoltre occorre rilevare che, nonostante l'evidente inquadramento della funzione della magistratura di pace, fin dal momento della sua comparsa nello scenario della giustizia, il giudice di pace ha sofferto di una crisi di identità.
      Da un lato, il testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, all'articolo 50, comma 1, lettera f), assimila ai fini tributari i compensi che il medesimo giudice riceve per l'attività svolta al reddito da lavoro dipendente; dall'altro, la Corte di cassazione esclude in modo categorico che tra l'amministrazione della giustizia e il giudice di pace possa intercorrere un rapporto assimilabile a quello di pubblico impiego, stanti il diverso sistema di reclutamento basato, per quest'ultimo, «su scelte politiche discrezionali», e in assenza sia di un rapporto di subordinazione, dato il carattere onorario della funzione, sia di una retribuzione, avendo gli emolumenti ad esso corrisposti natura indennitaria o di rimborso spese (Cassazione sezioni unite, n. 11272 del 9 novembre 1998).
      In questa indeterminatezza di status, dal maggio 1995, periodo di inizio dell'attività, i giudici di pace sono rimasti senza copertura previdenziale, a differenza di altre categorie di lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori «parasubordinati» ai quali, da ultimi, è stata garantita una tutela assicurativa previdenziale con la legge 8 agosto 1995, n. 335.
      Tale discriminazione è inaccettabile sia sotto il profilo giuridico-costituzionale che sotto il profilo sociale.
      Il problema si è maggiormente accentuato in quest'ultimo periodo per effetto dell'anticipazione da 50 a 30 anni dell'età di ingresso nella funzione. Da qui l'insorgenza di maggiori e più pressanti problemi di tutela non solo previdenziale, ma anche assicurativa per questa seconda generazione di giudici di pace che, a differenza della precedente che si è avvicinata alla funzione giurisdizionale all'epilogo della propria carriera lavorativa e avendo acquisito i titoli per la tutela previdenziale,
 

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deve invece costruirsi il proprio «domani» in termini di lavoro e di previdenza e non può tollerare che un periodo della propria attività lavorativa, tanto utile per la collettività, costituisca un vuoto pregiudizievole nella costituzione della propria posizione previdenziale.
      Per sanare questa anomala e ingiustificata situazione, nella rivisitazione della normativa previdenziale, appare opportuno - in rapporto al non ben definito status del giudice di pace - fare riferimento sia al regime previdenziale degli avvocati che a quello oggi assicurato per le categorie dei lavoratori «parasubordinati» dalla citata legge n. 335 del 1995.
      La presente proposta di legge ha tenuto conto della diversa estrazione e dell'attività esplicata dai giudici di pace, per cui soltanto una parte ha l'abilitazione all'esercizio della professione e di questi solo una parte svolge l'attività professionale; di conseguenza si è ritenuto di prevedere due gestioni a cui affidare la tutela assicurativa e previdenziale del servizio dei giudici di pace.
      La prima è assicurata dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza degli avvocati e procuratori, per i giudici di pace già iscritti a tale gestione. Gli altri vengono iscritti alla gestione separata dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) istituita dall'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
      Ovviamente il contributo alle due gestioni è stato calcolato nella stessa misura che oggi è vigente per la gestione separata dell'INPS, ed è cioè pari al 14 per cento dell'ammontare complessivo delle indennità percepite, che si riduce al 12,5 per cento per i titolari di pensione diretta e al 10 per cento per coloro per i quali sussiste una contribuzione per altri rapporti. L'onere della contribuzione rimane per un terzo a carico dell'assicurato e per due terzi a carico dell'amministrazione giudiziaria. Al riguardo è sembrato indispensabile fissare un importo omogeneo della contribuzione che corrisponde a quello previsto oggi dalla legge per la gestione separata dell'INPS. La contribuzione alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati e procuratori si andrà a cumulare con quella derivante per lo stesso periodo dall'attività professionale svolta. Al fine di armonizzare la posizione dei giudici di pace con quella degli altri iscritti alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati e procuratori, si prevede che nel caso in cui le diverse contribuzioni non raggiungano la misura minima dei contributi soggettivi e integrativi, l'assicurato dovrà provvedere a versare la differenza fino al raggiungimento dell'importo richiesto dalla vigente normativa della Cassa.
      L'iscrizione alla Cassa e alla gestione separata dà diritto alle prestazioni oggi previste dalle due diverse normative. Gli articoli 4 e 5 pongono una particolare attenzione a non creare disparità di trattamento tra i giudici di pace oggi in servizio aventi una diversa anzianità. Di conseguenza è consentita l'iscrizione retroattiva alla Cassa o alla gestione separata per i giudici di pace che hanno iniziato il servizio prima del 1o gennaio 2002 e che ne fanno richiesta.
      L'articolo 6 consente, invece, di utilizzare la contribuzione prevista dalla legge insieme con quella precedentemente maturata, in modo da attuare la ricongiunzione dei diversi periodi assicurativi.
      È sembrato infine opportuno intervenire in questa occasione per eliminare alcuni aspetti della disciplina vigente; si prevede pertanto che il servizio del giudice di pace sia utile ai fini dell'iscrizione all'albo degli avvocati (articolo 7), anche cassazionisti (articolo 8), e - eliminando un dubbio che alcuni hanno manifestato - si stabilisce espressamente che le cause relative al rapporto di servizio dei giudici di pace siano esenti dal pagamento del contributo unificato, come è già previsto per i giudici togati e per i giudici popolari dai numeri 2 e 12 della tabella su atti, documenti e registri esenti dall'imposta di bollo, di cui all'allegato B annesso al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642.
      Si tratta di disposizioni che «normalizzano» la condizione del giudice di pace, consentendo allo stesso di poter utilizzare
 

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il periodo di servizio prestato per la prosecuzione dell'attività professionale con l'iscrizione all'albo dei cassazionisti e di equiparare il contenzioso promosso dai giudici di pace a quello dei lavoratori subordinati, dei giudici di carriera e dei giudici popolari.
      La spesa conseguente all'erogazione del contributo a carico del Ministero della giustizia, che si prevede pari a 6.441.200 euro, può trovare copertura nella riduzione dell'organico dei giudici di pace da 4.700 a 4.000 unità per 4.771.200 euro.
      La determinazione dell'onere a carico del Ministero della giustizia è prevista nella misura del 9,33 per cento dell'ammontare delle indennità complessivamente corrisposte ai giudici di pace nel 2001 per cause definite, udienze, decreti ingiuntivi emessi e indennità forfetaria mensile secondo i dati della seguente tabella.

 
Importo
N.ro
Compenso
per giudice di pace
Compenso
annuo
complessivo
Indennità per cause definite   euro 56,81   141  8.010 37.647.000
Indennità decreti aggiuntivi   euro 10,33     85     878   4.126.000
Indennità per udienza   euro 36,15   110  3.976  x  4.000   15.904.000
                 x  4.700   18.687.200
Indennità forfetaria fissa   euro 258,33     11  2.841  x  4.000   11.360.000
                 x  4.700   13.352.000

Totale compensi annui per 4.000 giudici di pace               euro 69.037.600              
Totale compensi annui per 4.700 giudici di pace               euro 73.808.800              
Totale risparmio riduzione organico               euro  4.771.200              
Onere previdenziale totale (9,33 per cento)               euro  6.441.200              
Onere previdenziale netto               euro  1.670.000              

 

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